CAMBIAMENTO: L’ARTE DI MIGLIORARE
Il cambiamento: l’arte per migliorare la propria vita è il cambiamento. A volte cambiare viene ostacolato da molte paure, alcune di queste trovano espressione in certe frasi: “so ciò che lascio, non so ciò che troverò…”, o ancora “come sono fatto veramente non verrà accettato dagli altri…”, oppure “sto troppo male ora per fare qualcosa per superare questa situazione, per cambiare…”, a così via. E questo ci impedisce anche di migliorare. È vero, nel corso della vita possono verificarsi degli eventi che ci feriscono, ci segnano, ci rompono, sta a noi raccogliere i cocci (o quelli che ci sembrano cocci!) e cambiare la nostra vita da quel momento in poi. E anche quando vogliamo cambiare marcia può presentarsi il timore che fare qualcosa di diverso (che poi vuol dire migliorare la propria situazione) può non andare bene agli altri che non ci vedrebbero più così perfetti. Il kintsugi (金継ぎ), un’arte giapponese, può aiutarci a vedere il cambiamento, la rinascita dopo gli incidenti di percorso, l’evoluzione fuori dagli schemi, e quindi la creatività del coaching e la sua importanza nei processi di cambiamento, sotto una luce molto diversa!
Tradotto alla lettera significa “riparare con l’oro”. Il kintsugi (金継ぎ) è un’arte degli artigiani giapponesi che ha radici antiche. Tale arte consiste nell’utilizzare una resina mista a metallo prezioso (anticamente oro, oggi anche argento e platino, a scelta) per riparare degli oggetti importanti che possono essersi rotti. Le crepe vengono riempite con questa “pasta di valore” e a questo punto l’oggetto, in genere vaso o teiera o tazza da the, non solo acquista una vena di vissuto bensì aumenta notevolmente il proprio valore! Anche perché a questo punto l’unicità dei percorsi dorati che seguono l’intreccio delle “crepe” casuali sulla sua superficie lo rende irripetibile.

Kintsugi: l’arte del cambiamento.
L’origine del kintsugi prevede che le cose siano andate più o meno in questo modo: nel quindicesimo secolo, uno shōgun (将軍) ruppe una tazza da the di valore e di enorme importanza per lui, tanto che decise di mandarla a riparare in Cina. Il solo risultato che ottenne fu però che la tazza venne riparata alla meglio con dei fili di metallo; quindi quando la ricevette indietro di nuovo, lo stesso shōgun incaricò dei bravi artigiani giapponesi affinché ne migliorassero l’aspetto. Ciò che ottennero gli abili artigiani fu una meravigliosa tazza da te rifinita con affascinanti venature dorate che riempivano, seguendole, tutte le crepe. Da questo prese avvio una diffusione repentina e a macchia d’olio di questa forma d’arte, tanto che sembra che i collezionisti incominciarono a rompere volontariamente vasi e tazze da te per poi farli riparare e migliorare con questa preziosa, precisa ed affascinante tecnica!
Il significato più immediato ci suggerisce che dall’imperfezione e da una ferita possa nascere una forma ancora maggiore di perfezione estetica e crescita personale interiore; da una difficoltà può prendere spunto un cambiamento che ci permette di migliorare la nostra vita!
La profondità del significato di questa arte, in ogni caso, si può leggere sotto vari punti di vista:
1) Da un punto di vista filosofico il messaggio che passa è che qualsiasi cosa abbia subìto una frattura o un danno oppure una ferita e comunque porti i segni di una storia, ebbene questa cosa diventa più bella. Rapportandolo allo nostra vita: la tazza da the riparata con le venature dorate è la metafora della vita, dei suoi cambiamenti, delle nuove scelte, dei cambi di rotta e così come ci rende forti, orgogliosi fieri, superare le varie difficoltà, così la tazza da the mostra orgogliosamente ciò che ha superato!
2) Ancora, nella nostra quotidianità, la società, i mass media, la cultura, in questa economia di “usa e getta”, ci insegnano che ciò che non è nuovo o non è perfetto o sano, non vale o vale molto meno! E quindi va buttato nella spazzatura. Le cose rotte non si rammendano, si cambiano! Ma le cose rotte, se rammendate con l’oro, diventano più preziose …
3) Da un punto di vista morale, viviamo ciò che è sofferenza e dolore (sia fisico che morale) coma qualcosa da cui fuggire, scappare. Se non fosse che sofferenza e dolore sono preziosi come l’oro. E non è scansandole che si superano, ma vivendole pienamente e affrontandole. È così che evolviamo nella nostra crescita fisica, morale e spirituale, nel percorso per migliorare. Il dolore e la sofferenza insegnano, dicono che sei vivo. Poi passano e ti lasciano cambiato, più saggio a volte; o in altri casi più forte. Viviamo allora fino in fondo le sofferenze o i dolori che arrivano, non scappiamo, non ignoriamoli, ritornerebbero con altre forme! Solo vivendoli faccia a faccia ci fortificheremo, la nostra vita acquisterà significato e valore che ce la faranno apprezzare ancora di più. La vita ci propone delle sfide: ansia, rabbia, disperazione, e molte altre situazioni non facili per noi. Se le nascondiamo a noi stessi o le rigettiamo non facciamo altro che pressarle sempre di più dentro noi stessi, e non vengono più viste, è vero … ciò non significa che se ne siano andate però; semplicemente non le vediamo più perché, volontariamente, ce ne siamo dimenticati. Poi, nel momento meno atteso, eccole lì! Riappaiono, riaffiorando dal pozzo dove si erano riposate … senza avviso si ripresentano portandoci ancora e forse di più nel buio della disperazione. Se potessimo invece restare con queste emozioni sia quando nascono che quando si manifestano, osservarle, accettarne l’esistenza, per viverne l’essenza, “apprezzarle” pienamente per ciò che sono, nel qui e ora, forse potremmo conoscere qualcosa di più di noi stessi e cambiare la nostra situazione, divenendo più forti e consapevoli. Un illuminato ha detto:
“L’unico problema con la tristezza, la disperazione, la rabbia, l’ansia e l’infelicità, è che vuoi sbarazzartene. Questo è l’unico ostacolo.”
E ancora:
… io non sto dicendo che si deve essere felici per celebrare: la celebrazione è gratitudine per tutto ciò che la vita ti dona, per qualsiasi cosa Dio ti mandi. La celebrazione è riconoscenza, è un ringraziamento. (…) Celebra, qualsiasi sia la situazione. Se sei triste, celebra la tua tristezza. Prova! Fai un tentativo, e rimarrai sorpreso: accade. Sei triste? Mettiti a ballare, perché la tristezza ha una sua bellezza, è uno squisito fiore silente dell’essere. Danza, gioiscine, e all’improvviso, sentirai che la tristezza sta scomparendo: si è creata una distanza. Pian piano, ti dimenticherai della tristezza e ti ritroverai a celebrare: la danza ha trasformato quell’energia. Questa è alchimia: trasformare il metallo comune in oro puro”
4) Se poniamo la nostra attenzione ai rapporti interpersonali, la differenza con il mondo orientale in generale e in particolare con il mondo giapponese, soprattutto sotto l’aspetto culturale, è molto forte: noi diciamo che “quando il vaso è rotto è rotto” (riferendoci ad una relazione). L’arte del kintsugi ci suggerisce invece che, non solamente si può aggiustare, ma che dopo il valore della relazione è addirittura superiore. Per esempio nei rapporti d’amore è come dire che da una crisi di coppia non solo si possa uscire, ma che una volta usciti il legame, il valore diventa inossidabile, inestimabile. Infatti, una crisi di coppia superata con la consapevolezza delle potenzialità e dei limiti di entrambi rende individualmente e come coppia, le persone più forti e presenti.
Davanti alla rottura di una tazza da the il giapponese pensa: “quella tazza poteva rompersi in una miriade di modi diversi ma ha scelto di rompersi in questo modo. Perché non tener conto di questo importante tratto distintivo della sua personalità? Ha scelto di migliorare attraverso questa via, perché non valorizzarla arricchendola con del materiale prezioso? Pensandoci un po’ su, facciamo lo stesso anche con noi stessi nascondendo le parti che meno ci piacciono, quelle che ci fanno più male, che ci fanno soffrire, che reputiamo brutte e cattive. Il kintsugi e la cultura giapponese ci insegnano che noi siamo anche quelle parti “brutte e cattive”, siamo questo, ed è proprio questo che fa parte della nostra bellezza e unicità. Ovviamente ciò non significa che: siamo fatti così, chi non ci vuole non ci merita! Che le persone devono accettarci per come siamo e basta! Che non siamo noi che dobbiamo cambiare! Il significato importante in questo caso è che l’accettarsi per ciò che siamo, anche se non ci piace, è il primo passo che permette di migliorare, di acquistare valore presso noi stessi! Di cambiare.
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