Unire piuttosto che dividere
Una persona sente l’impulso ad agire ma allo stesso tempo ha paura. Cosa succede se si lascia travolgere dalla sola paura? Si ferma e non agisce. Se si lascia trascinare dall’impulso ad agire, ignorando la paura invece, andrà avanti in maniera spedita…forse troppo. Se invece “unisce” l’impulso ad agire e la paura, cosa succede? Andrà avanti, anche se magari più lentamente… e forse avrà l’andatura giusta per valutare ed evitare errori. D’altra parte, il coraggio non è la mancanza di paura… ma forse possiamo definirlo come l’equilibrio fra l’impulso ad agire e la paura.
“Unire piuttosto che dividere” significa trovare l’equilibrio fra forze opposte dentro di sé.
Trasferiamo il discorso ad un gruppo di persone. L’impulso ad agire probabilmente troverà maggiore espressione in una persona piuttosto che in un’altra, e così la paura. Ma anche qui, unire piuttosto che dividere sembra sensato.
Consideriamo un contesto più ampio, in cui ci sono più gruppi, ad esempio una gara ciclistica. Se una persona vince e pensa: “Ho vinto perché sono stato il più forte! E’ merito mio.”. Ha ragione? Sì, forse, ma è pur sempre una visione parziale. Se invece pensa: “Ho vinto! Sono stato forte! Ma devo ringraziare anche i miei compagni di squadra che con il loro lavoro mi hanno aiutato”. Ha ragione? Sì, forse, ma è pur sempre una visione parziale. Vogliamo dimenticarci dei tifosi che lo hanno “sostenuto” durante le salite più faticose? E gli avversari con il loro antagonismo, non lo hanno forse spinto ad allenarsi di più e a dare il meglio di sé? E i tifosi del suo avversario magari più pittoreschi e più vigorosi dei suoi, non hanno anche loro fatto la loro parte? Magari suscitando in lui “invidia”… altra fonte che ha saputo poi, evidentemente, tramutare in energia vincente. E le telecamere sulle moto, e magari quindi i milioni di telespettatori che hanno semplicemente guardato comodamente da casa, non hanno forse influito e stimolato in qualche modo anche loro la prestazione del corridore? Il fatto di essere osservato da tante persone, può aver fatto sì che questa persona si impegnasse al massimo? Presumibilmente sì. Volendo è possibile continuare e aggiungere altri contributi.
Chi ha vinto? C’è chi è arrivato primo, ma a vincere hanno vinto tutti, perché l’obiettivo era la gara. La vittoria del primo arrivato è solo una componente, tra l’altro non la più importante. Ma la gara e la vittoria derivano dall’unione dei contributi di tutti.
“Unire piuttosto che dividere” significa anche ampliare la prospettiva, riconoscere e rispettare il ruolo di tutti… ma non solo.
E’ questa naturalmente una visione della realtà. Non è l’unica. Ma possiamo veramente dire, in assoluto, che “unire” è meglio che “dividere”. D’altra parte, in diverse religioni ad esempio, per indicare il male, l’entità malvagia, si usa il termine diavolo che deriva dal greco diàbolos che significa “dividere” o “colui che divide”.
La realtà è molto complessa e può dar luogo a eventi difficilmente interpretabili e molto spesso le persone hanno dei dubbi… non solo su unire o dividere, ma su qualunque altra regola di condotta.
Può capitare ad esempio che una persona si comporti in maniera scorretta in una gara, ma che proprio questo comportamento scateni la rabbia dell’individuo che lo ha subìto, che poi riesce a trasformarla in energia che lo porta a vincere, anche con maggiore soddisfazione sua e maggior godimento del pubblico, che alla fine dirà: “E’ stata proprio una bella gara!”. In questo caso, possiamo dire che anche il comportamento “scorretto” ha contribuito alla vittoria o a rendere la gara interessante e positiva per molti? Possiamo considerare il comportamento “scorretto” come positivo e quindi “unirlo” con gli altri contributi?
La questione si fa più articolata e siamo costretti ad ampliare ancora di più il discorso. Porre in essere un comportamento che “divide” avrà delle conseguenze negative. Per reazione scatenerà la tendenza ad altri comportamenti che “dividono” se non subito, magari in altre gare. E’ un po’ il discorso del “peccato originale” di cui tutt’oggi paghiamo le conseguenze (almeno secondo alcune religioni). Ma se un comportamento “che divide” rompe l’equilibrio, l’armonia, ce ne saranno altri che, per una sorta di compensazione tendente all’omeostasi, avranno l’effetto di un comportamento “che unisce”, pur rimanendo “scorretti” se analizzati dal punto di vista razionale.
La “regola” unire piuttosto che dividere serve ed è valida per disciplinare la nostra parte cosciente / razionale: cioè è bene per noi impostare il nostro modo di pensare e di agire nel rispetto di questo principio. Non è bene organizzarci, coscientemente, per porre in essere un comportamento “che divide”. Nella realtà poi, può succedere che nonostante il nostro impegno ci ritroviamo a porre in essere comportamenti “che dividono”, o che comportamenti “che dividono” o “che uniscono” non hanno l’effetto che si teme o che ci si auspica.
Questo non contraddice “unire piuttosto che dividere” (che continua ad avere il suo ruolo nell’aspetto di sua competenza, cioè quello razionale), ma significa solo che non ha senso giudicare chi ha posto in essere il comportamento perché non abbiamo gli elementi conoscitivi per farlo. Se entriamo nella sfera dell’agire umano, altri fattori ben più influenti del nostro raziocinio entrano in gioco, e non siamo in grado razionalmente di valutare qual è la forza che lo ha determinato e se alla fine tende a ristabilire o meno l’equilibrio perduto o addirittura se lo modifica a prescindere.
Ecco che “unire piuttosto che dividere” implica anche il non giudicare.
Maurizio
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